Le fontane di Roma
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Le Fontane di Roma[1] dimostrano come i romani abbiano sempre avuto una gran passione per le acque pubbliche, dagli acquedotti alle terme e come, dopo i secoli della decadenza, tale passione si sia esternata nella costruzione delle numerose fontane (oltre 2.000) che ancora oggi ornano vie e piazze romane. I problemi di igiene, poi, non sembravano preoccupare nessuno, se l’acqua del fiume (decantata in apposite cisterne) era considerata talmente buona che i papi se la portavano anche in viaggio. (da Wikipedia)
Alcune tra le Fontane di Roma da visitare:
- Fontana del Nettuno
- Fontana del Moro
- Fontana di Piazza Colonna
- Fontana della Rotonda
- Fontana di Trevi
- Fontana del Babuino
- Fontana delle Tartarughe
- Fontana dell’Acqua Felice
- Fontana dell’Acqua Paola
- Fontane di Piazza San Pietro
- Fontana della Barcaccia
- Fontana dei Quattro Fiumi
- Fontana del Tritone
Origini ed evoluzione delle fontane a Roma
da Wikipedia
Le fontane sono state, per i romani, quasi una naturale conseguenza della conformazione geologica del terreno su cui la città era stata edificata: il suolo vulcanico sui colli e alluvionale in pianura (del tutto permeabile) sovrapposto ad uno strato argilloso (impermeabile) faceva sì che le numerose vene d’acqua naturali di cui la zona era ricca scorressero ad una profondità minima, producendo, quando non riuscivano a confluire nel Tevere, numerose sorgenti spontanee sparse qua e là ai piedi o a mezza costa dei colli, con conseguenti rivoli d’acqua. Quasi tutte definitivamente scomparse nel tempo, su quelle sorgenti oggi è possibile solo ricavare poche notizie dalle testimonianze dell’epoca, che tra l’altro consentono una localizzazione, peraltro approssimativa, di non più di una decina di esse. Alcune di queste vene sono tuttora vive sotto le case di Trevi e Campo Marzio.
Come per tutti i popoli antichi, anche per i Romani l’acqua era considerata un dono degli dei, e quindi sacra. Alla responsabilità delle sorgenti era dunque preposto un dio, Fons, il cui tempio venne eretto nel 221 a.C. ai piedi del Campidoglio, nell’area dell’attualeVittoriano, nei pressi della porta chiamata appunto Fontinalis. Ogni fonte aveva poi un “personale” nume tutelare, di solito una ninfa, come la nota Egeria, una delle quattro protettrici della fonte delle Camene, secondo la leggenda amante, ispiratrice e poi moglie del re Numa Pompilio.
Le fontane vere e proprie, ancora chiamate “’fontes”, ebbero origine quando, per l’esigenza di raccogliere quelle acque sorgive, furono attivati i primi interventi di incanalamento, drenaggio e parziale immagazzinamento delle acque.
Le prime soluzioni erano ovviamente di tipo utilitaristico e funzionale alle necessità degli abitanti ed all’abbeveraggio degli animali. Si trattava di vasche generalmente quadrangolari in muratura o pietra impermeabilizzata, all’interno delle quali da un pilastrino contenente un cannello (magari con un elemento decorativo) sgorgava l’acqua; oppure erano piccoli ambienti coperti a volta e aperti su un solo lato per l’utilizzazione: abbeveratoi, più che vere fontane. Solo in un secondo momento, ma abbastanza presto, si aggiunsero motivi estetici, di prestigio e visibilità, con la realizzazione di ornamenti architettonici e/o scultorei. L’utilizzazione, in questa fase, di vasche e bacini insieme ai condotti, portò oltre ad una nuova definizione della fontana, (il “lacus”), anche all’affrancamento della fontana stessa, che non doveva quindi più essere condizionata dalla posizione della sorgente. Un ulteriore passo avanti in questo senso, anche se con una diffusione inizialmente limitata, avvenne con la costruzione degli acquedotti, che consentivano la creazione di fontane anche prescindendo dall’esistenza di sorgenti che le alimentassero. Le fontane subirono dunque un processo di “monumentalizzazione” (ovviamente rimanevano in vita e continuavano ad essere realizzate anche quelle “minori”): i piccoli ambienti a volta vennero ampliati, alle pareti laterali vennero aggiunte nicchie e magari un’abside in fondo, che potevano ospitare statue ed elementi decorativi; nacquero i modelli “a saliente” (che ebbero grande fortuna e sviluppo almeno fino al XVII secolo): una vasca circolare, possibilmente monolitica, contenente un elemento verticale che sorreggeva un’altra vasca più piccola dalla quale, con o senza zampillo, fuoriusciva l’acqua spinta a pressione che precipitava nella vasca sottostante. Molto apprezzati e scenografici erano anche i modelli “ad emiciclo”, in cui l’esedra, chiusa o a cielo aperto, conteneva una vasca circolare o ellittica, che poteva anche essere circondata da nicchie e magari dotata di una serie di gradini concentrici o a parete da cui l’acqua scendeva “a cascata”.
Un particolare tipo di fontana, realizzata però senza uno specifico modello che la caratterizzasse, era la “mostra” terminale degli acquedotti: si trattava di fontane poste al termine del condotto principale o in corrispondenza dell’inizio delle diramazioni secondarie o del “castello” di distribuzione.
Le citazioni dell’epoca fanno intendere diverse altre varianti e modelli, dalle fontane “a facciata”, addossate a pareti e sviluppate nel senso della larghezza, fino ad arrivare, nel III secolo d.C., ad una sorta di veri edifici con apposite, specifiche caratteristiche architettoniche che li rendevano utilizzabili anche come luoghi di ritrovo e di soggiorno, adatti per feste e riunioni in ambienti freschi e ombrosi: i “nymphaea”, il cui intento era di richiamare, con un ritorno alle origini, le grotte ed i boschi abitati dalle “ninfe” . Dei 15 ninfei esistenti a Roma nel IV secolo, solo di 4 si conosce il nome: “Nymphaeum Iovis”, “Nymphaea tria”, “Nymphaeum Flavi Philippi” e “Nymphaeum divi Alexandri”, l’unico del quale si conosce anche con esattezza la dislocazione, in quanto è stato identificato con i ruderi presenti in Piazza Vittorio e noti come “Trofei di Mario”.
I ninfei rappresentarono il punto più alto dell’evoluzione delle fontane, ma occorre ricordare che una buona parte delle fontane esistenti in città (in aggiunta ai numeri citati) era ad uso privato. La grande disponibilità di acque consentiva infatti la distribuzione idrica sia nelle case e ville private, dove all’aspetto utilitaristico si aggiungeva quello ornamentale, con fontane che quindi richiamavano, in parte, le caratteristiche illustrate, sia in molte insulae popolari, in cui una “fontanella” dislocata generalmente nel cortile del fabbricato serviva per il rifornimento d’acqua di tutto il “condominio”.
Grazie all’apporto degli acquedotti, la disponibilità di acqua in Roma divenne tale che a metà del IV secolo i Cataloghi regionari dell’epoca censivano dalle 1.204 alle 1.352 (secondo la versione) fontane pubbliche (dalle “fontanelle” di strada a quelle monumentali), senza contare dunque quelle, numerosissime, presenti nelle case private e i 15 ninfei, le piscine e le terme, che costituivano categorie a parte.